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Salute mentale e livelli di vitamina D

Salute mentale e livelli di vitamina D. Altre conferme dei legami tra i suoi valori e la depressione

Durante l’ultimo meeting annuale della American Society for Nutrition (ASN), tenutosi a Chicago (USA) nel luglio 2024, due ricercatrici statunitensi (Vernarelli JA e Champagne KD) hanno presentato una ricerca sulla associazione tra livelli di Vitamina D e depressione nei cittadini statunitensi.

Le ricercatrici hanno analizzato i dati provenienti dallo studio NHANES del 2017 cercando in un campione di circa 4600 persone i livelli di vitamina D3 e la eventuale associazione con i livelli di depressione, misurati attraverso questionari validati.

Le persone con livelli di vitamina D3 più bassi avevano sintomi depressivi più intensi di chi avesse invece dei livelli di vitamina normali, e leggendo i dati dall’altra parte, le persone malate di depressione documentavano con alta significatività (p <0,004) una introduzione di vitamina D più bassa rispetto ai soggetti non depressi.

Si può sempre pensare che un maggiore livello di vitamina D3 corrisponda a stili di vita più “all’aria aperta” e ad una alimentazione più sana, entrambi fattori che riducono il rischio depressivo.

L’attività fisica all’aria aperta, che controlla efficacemente la sindrome depressiva (come descritto in questo ottimo articolo di Michela Speciani “La corsa al posto degli psicofarmaci”), può portare ad esempio al miglioramento dei sintomi della depressione e facilitare l’innalzamento di livello della vitamina D3.

Ma escludendo questi casi particolari, la relazione tra introduzione di vitamina D3 e minore rischio depressivo mantiene tutto il suo valore

La Vitamina D3 riesce ad agire su più sistemi organici. Chi crede che serva solo per mantenere la durezza dell’osso e contrastare l’osteoporosi si sbaglia e perde soprattutto le possibilità di attivare tante altre sue azioni.

Basti pensare alla rilevanza della sua azione nel controllo delle allergie e del metabolismo, come spiegato nell’articolo “Senza vitamina D aumentano obesità e allergie”.

E proprio l’interazione della vitamina D con la regolazione degli zuccheri ci porta a considerare l’importanza anche della glicazione nella gestione delle sindromi ansiose e depressive.

Una ricerca australiana pubblicata su PLoS One ha documentato che anche solo un intervento dietetico di breve durata (tre settimane di dieta sana senza UPF e senza zuccheri e dolcificanti) può cambiare in modo significativo il livello dei sintomi depressivi nei giovani adulti mantenendo gli effetti di miglioramento almeno per i tre mesi successivi.

Questo non significa che non si deve assumere zucchero (o alcol o frutta o miele o dolci della nonna), ma che gli effetti individuali vanno misurati.

La depressione e l’ansia sono diffusissime e a fronte di questo tipo di episodi diventa fondamentale non fermarsi alla sola analisi psichica ma affrontare anche la condizione metabolica biochimica spesso dovuta ad un eccesso di carboidrati o di zuccheri.

Lo stesso tema si pone anche per le differenze nelle manifestazioni psichiche legate all’effetto di attivazione della depressione dovuto al consumo di alimenti ultra processati o ultra raffinati.

Il maggiore utilizzo di prodotti super raffinati (che arrivano fino al 76% della alimentazione usuale) è proporzionale all’aumento di ansia e depressione.

Conoscere il proprio livello di metilgliossale e capire in anticipo se il proprio organismo ha elevati livelli di glicazione, consente a ogni persona di attivare in tempo una giusta prevenzione della evoluzione verso la degenerazione neuronale e verso l’accentuazione o lo sviluppo di sintomi psichici anche severi.

Si deve comprendere, quindi, quale sia il livello individuale di glicazione per scegliere un programma di integrazione vitaminica e nutrizionale personalizzato che moduli anche la quantità giornaliera di zucchero, di alcol e di frutta per rientrare in una condizione di normalità ed evitare la degenerazione cerebrale.

Se, come nel mio caso personale, la genetica evidenzia una predisposizione diabetica, è necessario misurare con una certa frequenza i valori di Metilgliossale e di Albumina glicata (le stesse sostanze evidenziate dal test PerMè o dal Glyco Test) per capire se “individualmente” sto assumendo troppe sostanze dolci o dolcificate e se il mio organismo è in grado di smaltirle adeguatamente. Inoltre controllo frequentemente i miei livelli di vitamina D3 per gestirne correttamente l’eventuale reintroduzione.

Nel centro SMA in cui lavoro, tutto lo staff medico e nutrizionale personalizza comunque la nutrizione dei nostri pazienti in base ai livelli infiammatori alimentari e a quelli di glicazione per affrontare le condizioni di alterazione metabolica che non significano solo diabete e sovrappeso, ma anche ansia, depressione e stanchezza immotivata.

Senza rinunciare agli zuccheri, prevenire per se stessi queste evenienze è nelle potenzialità di tutti.

Fonte: EUROSALUS Dott Attilio Speciani

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